Tuesday, June 26, 2007

IL PIU' GRANDE FILM IRLANDESE



("Film"di Beckett)

Problema
Se è vero, come ha detto il vescovo irlandese Berkeley, che essere è essere percepito (esse est percipi), è possibile sfuggire alla percezione? Come diventare impercettibili?


Storia del problema
Si potrebbe immaginare che tutta la storia sia quella di Berkeley che ne ha abbastanza di essere percepito (e di percepire). Il ruolo, che non poteva essere ricoperto se non da Buster Keaton, sarebbe quello del vescovo Berkeley. O piuttosto, è il passaggio da un irlandese all'altro, da Berkeley che percepiva ed era percepito, a Beckett xhe ha esaurito "tutti i vantaggi del percepire e del percipi". Noi dobbiamo quindi proporre una sceneggiatura (o una distinzione dei casi) un po' diversa da quella di Beckett.


Condizione del problema
Ci dev'essere qualcosa d'insopportabile nel fatto di essere percepiti. E' l'essere percepiti da terzi? No, perchè gli eventuali terzi percipienti si sgomentano appena si accorgono di essere percepiti ognuno per conto suo, e non solo gli uni dagli altri. C'è dunque qualcosa di spaventoso in sé nel fatto di essere percepito; ma che cosa?


Dato del problema
Finchè la percezione (cinepresa) è dietro il personaggio, non è pericolosa, perchè resta inconscia. Lo coglie solo quando forma un angolo che lo raggiunge obliquamente, e gli dà coscienza di essete percepito. Si dirà per convenzione che il personaggio ha coscienza di esser percepito, che egli "entra in percipi", quando la cinepresa alle sue spalle supera un angolo di 45°, da un lato o dall'altro.


Primo caso: il muro e la scala, l'Azione
Il personaggio può limitare il pericolo camminando in fretta, lungo un muro. In effetti, resta un solo lato minaccioso. Far camminare un personaggio lungo un muro è il primo atto cinematografico (tutti i grandi registi ci hanno provato). L'azione è evidentemente più complessa quando diventa verticale e addirittura a spirale, come su una scala, perché il lato cambia alternativamente in rapporto all'asse. Comunque, ogni volta che viene oltrepassato l'angolo di 45°, il personaggio si ferma, interrompe l'azione, si rannicchia e copre la parte esposta del volto con la mano o con un fazzoletto o con una foglia di cavolo che può pendergli dal cappello. E' questo il primo caso, percezione di azione, che può essere neutralizzato con la sospensione dell'azione.


Secondo caso: la stanza, la Percezione
E' il secondo atto cinematografico, l'interno, ciò che si svolge fra le pareti. Prima il personaggio non era considerato percipiente: la cinepresa gli forniva una percezione "cieca", sufficiente alla sua azione. Ma ora la cinepresa percepisce il personaggio nella stanza, e il personaggio percepisce la stanza: ogni percezione diventa doppia. Prima altri esseri umani potevano eventualmente percepire il personaggio, ma erano neutralizzati dalla cinepresa. Ora il personaggio percepisce per conto suo, le sue percezioni diventano cose che lo percepiscono a loro volta: non solo degli animali, degli specchi, delle oleografie del buon Dio, delle fotografie, ma anche degli utensili (come diceva Eisenstein, dopo Dickens: il pentolino mi guarda...). Le cose, per questo, sono più pericolose degli umani: io non le percepisco senza che anch'esse mi percepiscano, ogni percezione in quanto tale è percezione di percezione. La soluzione di questo secondo caso consiste nell'espellere gli animali, velare lo specchio, coprire i mobili, staccare l'oleografia, stracciare le foto: è l'estinzione della doppia percezione. Nella strada, poco fa, il personaggio disponeva ancora di uno spazio-tempo, e anche di frammenti di un passato (le foto che portava). Nella stanza disponeva ancora di forze sufficienti per formare delle immagini che gli rinviavano la sua percezione. Ma ormai non ha più che il presente, sotto forma di una camera ermeticamente chiusa in cui è sparita ogni idea di spazio e di tempo, ogni immagine divina, umana, animale o di cosa. Sussiste solo la Berceuse al centro della stanza, perché, meglio di qualsiasi letto, è l'unico mobile che precede la comparsa o che rimane dopo la scomparsa dell'uomo e che ci mette in sospeso in mezzo al nulla (va e vieni).


Terzo caso: berceuse, l'Affezione
Il personaggio ha potuto sedersi sulla berceuse addormentarvisi, man mano che le percezioni si spegnevano. Ma la percezione è ancora in agguato dietro la berceuse, dove dispone simultaneamente dei due lati. E sembra aver perso la buona volontà che manifestava prima, quando si affrettava a richiudere l'angolo che aveva inavvertitamente oltrepassato e proteggeva il personaggio contro eventuali terzi. Ora lo fa apposta, e si sforza di sorprendere l'addormentato. Il personaggio si difende e si raggomitola, sempre più debolmente. La cinepresa-percezione ne approfitta, oltrepassa definitamente l'angolo, gira, si pone davanti al personaggio addormentato e si avvicina. Allora si rivela per quel che è, percezione d'affezione, ossia percezione di sé per sé, puro Affetto. E' il doppio riflessivo dell'uomo convulso sulla berceuse. E' la persona guercia che guarda il personaggio guercio. Aspetta la sua ora. Era quindi questo, il fatto spaventoso: che la percezione fosse di sé per sé, in questo senso "insopprimibile". E' il terzo atto cinematografico, il primo piano, l'affetto o la percezione di affezione, la percezione di sé. Si spegnerà anch'essa, ma nello stesso tempo in cui il movimento della berceuse muore e il personaggio muore. Non è necessario questo, cessare di essere, per diventare impercettibili, stando alle condizioni poste del vescovo Berkeley?


Soluzione generale
Il film di Beckett ha attraversato le tre grandi immagini elementari del cinema, quelle dell'azione, della percezione, dell'affezione. Ma in Beckett nulla finisce, nulla muore. Quando la berceuse diventa immobile, è l'idea platonica di Berceuse, la berceuse dello spirito che si mette in movimento. Quando il personaggio muore, come diceva Murphy, è perché comincia già a muoversi in spirito. Sta a suo agio come un tappo sull'oceano scatenato. Non si muove più, ma è in un elemento che si muove. Anche il presente è sparito a sua volta, in un vuoto che non comporta più oscurità, in un divenire che non comporta più cambiamento concepibile. La stanza ha perso le sue barriere e lascia sfuggire nel vuoto luminoso un atomo, impersonale e tuttavia singolare, che non ha più Io per distinguersi o confondersi con gli altri. Diventare impercettibili è la Vita "senza sosta e senza condizione", è raggiungere lo sciabordio cosmico e spirituale.

Gilles Deleuze

Friday, June 22, 2007

Né Vero Né Falso


Ceci est une pipe


Ceci n'est pas une pipe

"Nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso."
Guy Debord, La società dello spettacolo

Thursday, June 14, 2007

I figli degli uomini



Gli ultimi uomini
Nei film di Hollywood l’ampio sfondo storico è solo un pretesto per il “vero argomento”; cioè il viaggio iniziatico del personaggio o della coppia protagonista. In Reds la rivoluzione d’ottobre fa da sfondo ai due innamorati che si riconciliano in un appassionato rapporto sessuale; in Deep impact l’onda gigantesca che sommerge l’intera costa orientale degli Stati Uniti è solo la scenografia della riunificazione incestuosa tra padre e figlia; nella Guerra dei mondi l’invasio ne degli alieni è lo scenario in cui Tom Cruise riafferma il suo ruolo paterno. Ne I figli degli uomini di Alfonso Cuarón, inve ce, lo sfondo è l’elemento principale. La fantascienza classica hollywoodiana presenta in genere un futuro pieno di invenzio ni inaudite, dove però anche i cyborg si comportano come noi, o meglio come ci comportavamo noi nei vecchi melodrammi di Hollywood e nei film d’avventura. Ne I Figli degli uomini non ci sono oggetti strani e Londra è esattamente come oggi, solo di più. Cuarón si limita a evidenziare il suo potenziale poetico e sociale: i sobborghi invasi dai rifiuti, le telecamere di sorveglianza dappertutto…
Il film ci ricorda che la realtà è più assurda di qualunque fantasia. Una volta Hegel osservò che una persona somiglia più al suo ritratto che a se stessa. I figli degli uomini è la fantascienza del nostro presente. Siamo nel 2027 e la specie umana è diventata sterile. Il più giovane abitante della terra, nato diciotto anni prima, è stato appena ucciso a Buenos Aires. La Gran Bretagna vive in un perenne stato d’emergenza, con squadre antiterrorismo che danno la caccia agli immigrati clandestini e il governo impegnato ad amministrare una popolazione in calo che vegeta in uno sterile edonismo. Questi due tratti – la permissività edonistica con le sue nuove forme di apartheid sociale e il controllo basato sulla paura – sono forse tipici delle nostre società? Il colpo di genio del regista è questo: “Molte storie sul futuro”, ha detto Cuarón in un’intervista, “immaginano un mondo dominato da un Grande fratello, ma io credo che sia un’idea nove­centesca della dittatura. La tirannia del ventunesimo secolo si chiama `democrazia”‘. Per questo le persone che governano il mondo nel suo film non sono grigi burocrati totalitari in uniforme, come quelli di Orwell, ma amministratori illuminati, colti e democratici.

I figli degli uomini non è un film sulla ste rilità come problema biologico. La sterilità di cui parla Cuarón è quella diagnosticata molto tempo fa da Friedrich Nietzsche quando intuì che la civiltà occidentale si stava dirigendo verso “l’ultimo uomo”, una creatura apatica senza passioni né impe gni. Incapace di sognare e stanco della vita, l’ultimo uomo non corre rischi e cerca solo comodità, sicurezza e tolleranza reci proca: “Un po’ di veleno, ogni tanto, per fare sogni gradevoli. E molto veleno, alla fine, per una morte gradevole. Hanno i loro piccoli piaceri per il giorno e i loro piccoli piaceri per la notte, ma sempre badando alla salute. ‘Abbiamo scoperto la felicità’, dicono gli ultimi uomini, e strizzano l’occhio”. L’ultimo uomo non vuole che i suoi sogni a occhi aperti siano disturbati, e per questo “molestia” è una parola chiave del suo universo mentale. Il termine è usato per indicare azioni brutali come lo stupro, le percosse e altre forme di violenza sociale che devono essere severamente condannate. Ma indica anche il fastidio per qualsiasi vicinanza eccessiva a un altro essere umano, con i suoi desideri, piaceri e paure.

Due elementi determinano oggi la tolleranza liberale verso gli altri: il rispetto per l’alterità e la paura ossessiva della molestia. Non abbiamo niente contro l’altro a patto che la sua presenza non sia intrusiva, che l’altro non sia veramente altro. La tolleranza coincide con il suo contrario: il mio dovere di essere tollerante verso gli altri significa che non devo avvicinarmi troppo, che non devo intromettermi, insomma che devo rispettare l’intol leranza per la mia vicinanza eccessiva. E questo che si sta af fermando come il fondamentale “diritto umano” della nostra società: il diritto di non essere molestati, cioè di tenersi a distanza di sicurezza dagli altri. In gran parte delle cause per molestie i giudici proibiscono al molestatore di avvicinarsi alla sua vittima e gli impongono di tenersi ad almeno cento metri di distanza. È una sorta di difesa contro la realtà traumatica del desiderio dell’altro: è ov vio che c’è qualcosa di violento nel mostrare apertamente la propria passione per un altro essere umano. La passione per definizione “fa patire” il suo oggetto, lo ferisce, e anche chi accetta con gioia di esserne il bersaglio non potrà mai farlo senza timore né sorpresa. È così anche per il divieto di fumare. Il fumo è stato bandito innanzitutto dagli uffici, poi dai voli aerei, dai ristoranti, dagli aeroporti, dai bar, dai club privati, in alcuni campus universitari nel raggio di cinquanta metri dall’ingresso degli edifici, e infine – in un caso esemplare di censura pedagogica che ricor da le foto ritoccate della nomenklatura stalinista – le poste degli Stati Uniti hanno cancellato le sigarette dai francobolli con l’immagine di Jackson Pollock e del chitarrista Robert Johnson.

Questi divieti prendono di mira il piacere eccessivo e rischioso dell’altro, incarnato dall’atto “irresponsabile” di accendersi una sigaretta e aspirare profondamente con un’im perturbabile voluttà (al contrario degli yuppie clintoniani, che non aspirano, fanno sesso senza una vera penetrazione e man giano solo cibi senza grassi). Come ha detto Jacques Lacan, se Dio è morto, più nulla è permesso. Moltissimi prodotti sono stati privati delle loro proprietà nocive: il caffè senza caffeina, la panna senza grassi, la birra senza alcol e così via. Il sesso virtuale è sesso senza sesso. E la dottrina di Colin Powell della guerra senza vittime (dalla no stra parte, naturalmente) non è forse una guerra senza guer ra? La politica come arte della buona amministrazione è una politica senza politica, e il multiculturalismo tollerante e liberale è un’esperienza dell’altro privato della sua alterità (nell’immagine dell’altro idealizzato vediamo le sue danze affasci nanti e il suo approccio olistico ecologicamente sano alla real tà, ma dimentichiamo le percosse alla moglie o lo stupro incestuoso). Per noi abitanti del primo mondo è sempre più difficile im maginare una causa universale per cui valga la pena di sacrifi care la vita. La spaccatura tra primo e terzo mondo segue la linea che contrappone una vita lunga, ricca e soddisfacente a una vita dedicata a una causa trascendente. È l’antagonismo tra ciò che Nietzsche definiva nichilismo “passivo” e nichili smo “attivo”.

Noi occidentali siamo gli ultimi uomini, immersi in stupidi piaceri quotidiani; mentre gli estremisti musulmani sono pronti a rischiare tutto, impegnati in una lotta nichilistica fino all’autodistruzione. Ne I figli degli uomini l’unico posto dove prevale uno strano senso di libertà è Bexhill, una città circondata da un muro e trasformata in un campo profughi diretto dai suoi abitanti, immigrati clandestini, che alla fine del film viene spietatamente bombardata dall’aviazione. La vita, lì, è in fermento: ci sono manifestazioni militari dei fon damentalisti islamici ma anche gesti di autentica solidarietà. Ed è proprio qui che appare il neonato. E allora dove abbiamo sbagliato? Chi ha letto il marchese De Sade sa bene che la disinvolta affermazione della sessualità, spogliata da ogni traccia di trascendenza spirituale, si trasforma paradossalmente in un esercizio meccanico privo di autentica passione sensuale. Un rovesciamento simile si trova anche nell’impasse degli ultimi uomini di oggi, gli individui “postmoderni” che respingono ogni finalità “superiore” e dedi cano la loro vita a una sopravvivenza piena di piaceri sempre più raffinati e indotti artificiosamente. Se le vecchie società gerarchiche schiacciavano gli impulsi vitali con i loro rigidi sistemi ideologici imposti e difesi dagli apparati statali, le so cietà di oggi stanno perdendo la vitalità a causa del loro edonismo estremamente permissivo: tutto è lecito, ma a patto che sia decaffeinato e privo di sostanza. E questo vale anche per la democrazia: è sempre più decaffeinata, senza sostanza e forza politica.

Un secolo fa, G.K. Chesterton scriveva: “Gli uomini che cominciano a combattere la chiesa per amore della libertà e dell’umanità finiscono per gettar via la libertà e l’umanità pur di lottare contro la chiesa”. I fanatici difensori della reli gione fanno lo stesso: hanno cominciato attaccando ferocemente la cultura laica contemporanea e hanno finito per ri nunciare a qualunque esperienza religiosa significativa. E i guerrieri liberali sono così decisi a combattere il terrorismo e il fondamentalismo antidemocratico che finiranno per gettare via la libertà e la democrazia. Pur di dimostrare che il fondamentalismo non cristiano è la peggiore minaccia alla libertà sono pronti a limitare la libertà nelle nostre presunte società cristiane. Mentre i terroristi sono pronti a distruggere questo mondo per amore dell’altro, i nostri guerrieri antiterroristi sono pronti a distruggere il loro stesso mondo democratico spinti dall’odio nei confronti dell’altro, cioè dei musulmani. Oggi la politica dominante è la politica della paura, una difesa contro la possibilità di diventare vittime o di essere molestati: paura degli immigrati, della criminalità, della depra vazione sessuale, paura perfino di uno stato invadente (con tasse troppo alte), delle catastrofi ecologiche, delle molestie. Ed è per questo che il politicamente corretto è l’espressione liberale per eccellenza della politica della paura. Una politica che si affida agli slogan spaventosi di uomini spa ventati.

All’inizio del 2006 la politica contraria all’immigrazione ha conquistato l’Europa, tagliando il cordone ombelicale che la legava ai partiti di estrema destra. Dalla Francia alla Germa nia, dall’Austria ai Paesi Bassi, con un nuovo orgoglio per la propria identità culturale e storica, i partiti più importanti hanno considerato accettabile sottolineare che gli immigrati sono ospiti e devono adeguarsi ai valori culturali dei paesi in cui cercano accoglienza. È per questo che lo “scontro di civiltà” è la malattia di Huntington del nostro tempo, nel senso di Samuel Huntington, secondo il quale dopo la fine della guerra fredda “la cortina di ferro dell’ideologia” è stata sostituita con la “cortina di velluto della cultura”. Questa visione pessimista può sembrare l’esatto contrario della luminosa prospettiva di Francis Fukuyama, quella di una “fine della storia” sotto forma di una democrazia liberale mondiale.

Forse, però, lo scontro di civiltà è la fine della storia: i conflitti etnico-religiosi, cioè, sono la forma di lotta più adatta al capitalismo globale. Nella nostra era po stpolitica, in cui la politica vera e propria viene progressivamente sostituita dalla buona amministrazione, le tensioni culturali – etniche e religiose – restano l’unica fonte legittima del conflitto. Perciò, per citare l’indimenticabile sintesi freudiana del presidente George W. Bush , non “sottovalutate male” I figli degli uomini: il nuovo film di Cuarón colpisce al cuore della nostra complessa situazione.

di Slavoj Žižek

Monday, June 11, 2007

Le Voyage du ballon rouge


Bigger than film (3)
Che il tempo non esista, e come sia un insistere nello spazio e dello spazio, un affollarsi e smaccarsi di strati spaziali, lo dimostra l’immenso film minimale di Hou Hsia Hsien. Impigliato in un albero parigino, il suo palloncino rosso può parere all’inizio poco ispirato. Dopo poco mi fa pensare all’algido e geniale Ventaglio goldoniano (in questi giorni a Parigi) inventato da Ronconi, lunga attesa, da parte del fotogramma di spazio teatrale asfissiato dall’ennesima trama e dalle parole rituali, di un colpo di vento che scompagina all’indietro tutto quello che si credeva fin lì essere lo spettacolo. HHH porta la bolla rossa di aria prigioniera non a sfrenarsi in illusioni di volo libero, ma a ammettere di esser solo il resto di un remake già fatto, la traccia a sua volta di un falso ritorno, la fatalità (non solo filmica) del poter tornare solo dove non si è mai stati. Situazione mai mostrata con più malinconia, se non in un capolavoro di Huillet e Straub (che, mi pare di ricordare, non amano affatto il cinema di hhh), Une Visite au Louvre. Il viaggio del palloncino rosso nasce su commissione di un altro museo, quello d’Orsay. La vita della borghesia spettacolarintellettuale parigina appare in quadretti di crudeltà minime bunuelianhogarthiane, museificata in attitudini da animaletti egizi imbalsamati. Il film/palloncino vola fino a trasformarsi in elegia sokuroviana, in un lungo viaggio per trovare dentro un dipinto del passato la traccia tripla di chi lo guarda ora, di chi lo dipinse, e dei molti fantasmi di sguardo che sono dentro un solo quadro. Spia di ciò, le inquadrature frequenti, di semplicissima complicazione, in cui personaggi vie luci automobili si trovano a convivere nel riflesso doppio triplo quadruplo di un vetro. L’ultima cosa vista, il puntino rosso stagliato nell’azzurro del cielo, non può ormai non farci sentire nella più trasparente delle inquadrature i mille palloncini sovrimpressi invisibili dell’apocalisse museale che ogni immagine fu.

enrico ghezzi, da L'Unità on line

Pubblicato il: 20.05.07
Modificato il: 07.06.07 alle ore 12.57

Wednesday, June 06, 2007

TIZIANO SCARPA

Da Covers nelle galassie oggi come oggi
Pink Floyd
If
Se fossi un lottatore di sumo
donerei il mio grande cuore a due gemelli siamesi.
Se fossi due gemelli siamesi
farei il divo del porno.
Se fossi un divo del porno
venderei la mia pelle a una ditta di divani.
Se fossi una ditta di divani
costruirei divani per contorsionisti.
Se fossi un contorsionista
annoderei tutte le parole nella mia testa.
Se fossi la mia testa
griderei i miei pensieri tutti quanti in coro.
Se fossi un coro
fischietterei il K622 di Mozart con cento bocche.
Se fossi una bocca
estirperei a morsi i tumori.
Se fossi un tumore
mi manderei a cagare.
Se fossi una cagata
mi pavoneggerei su un piedistallo monumentale.
Se fossi un monumento
vorrei essere un parafulmine.
Se fossi un parafulmine
mi collegherebbero a un condannato a morte.
Se fossi un condannato
con la morte sotto il culo
scriverei poesie meravigliose.
Se fossi una poesia meravigliosa
farei diventare malvagi tutti i miei lettori.
Se fossi un mio lettore
mi spedirei lettere minatorie.
Se fossi una lettera minatoria
mi farei pubblicare negli abbecedari.
Se fossi un abbecedario
direi a come amaca b come bara c come coraggio!
Se fossi coraggioso direi sempre la verità.
Se fossi la verità
andrei da un chirurgo estetico.
Se fossi un chirurgo estetico
mi impianterei dappertutto organi sessuali.
Se fossi un organo sessuale
non accetterei ordini da nessuno.
Se fossi nessuno
sarei una star.
Se fossi una star
mi masturberei moltissimo.
Se mi masturbassi moltissimo
inventerei una cura contro l’anoressia.
Se fossi un’anoressica
farei l’amore con un lottatore di sumo.
Se fossi un lottatore di sumo
combatterei vestito da Papa.
Se fossi il Papa
lascerei in pace il povero Dio.
Se fossi Dio lasciamo perdere.
Se fossi una perdita
andrei a gocciolare dalla fica della mia ex.
Se fossi quella troia della mia ex
direi in giro almeno quanto l’ho fatta godere.
Se fossi il godimento
direi uno due tre stella!
Se fossi una stella
abbatterei le comete con la paletta schiaccia mosche.
Se fossi una mosca
farei voli quadrati sotto i lampadari nei pomeriggi d’estate.
Se fossi un pomeriggio d’estate
avrei tanti bambini che giocano mentre i grandi dormono.
Se fossi una dormita
inventerei i sogni così belli da far fallire Holliwood.
Se fossi Holliwood
girerei film tattili in palporama con attrici fichissime.
Se fossi un’attrice fichissima
mi innamorerei pazzamente di Tiziano Scarpa.
Se fossi Tiaziano Scarpa non sprecherei così la vita.
Se fossi la vita baratterei il sesso in cambio dell’immortalità.
Se fossi immortale
andrei in giro tutto il giorno in bici.
Se fossi una bici v
orrei essere una bici da donna.
Se fossi una donna farei tanti figli.
Se fossi un figlio
la smetterei una buona volta con questa storia di Edipo.
Se fossi Edipo
sparirei anche dalle raccolte di figurine.
Se fossi una figurina
vorrei essere un centravanti.
Se fossi un centravanti
rilascerei intervista in rima.
Se fossi una rima
abiterei lo spazio fra collirio e delirio.
Se fossi un delirio
spaventerei gli angeli dell’abisso e i demoni del cielo.
Se fossi il cielo
farei tantissime capriole.
Se fossi una capriola
mi rotolerei in un lottatore di sumo.