Friday, November 03, 2006

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Perec
“L’alfabeto, il lessico, la sintassi, la grammatica, la retorica, lo stile, i generi:libro dopo libro, Georges Perec ha messo alla prova tutti i livelli del linguaggio. Poiché non c’è lingua che ci rappresenti così come siamo, esprimersi equivale a dissentire dalle proprie parole. Si ha un bel puntualizzare per spiegarsi più chiaramente: c’è sempre qualcosa che resta in disparte. Equivoco della sincerità: non riuscire mai a coincidere senza riserve con ciò che la sincerità stessa dichiara. La letteratura, d’altronde, è tutto fuorché uno spazio alla dicibilità immediata. Il precetto estetico, la regola compositiva, il tabù linguistico, la costrizione (contrainte) teorizzata dall’Oulipo sono solo alcuni dei suoi deliberati recinti: qui le pareti del linguaggio si fanno ancora più raccolte e anguste. La letteratura la sa lunga sul fatto che nella casa dell’essere le stanze non potrebbero in nessun caso farsi capienti a sufficienza per contenere tutto l’inquilino, e le ristrettezze dell’appartamento non fanno altro che mettere in scena la dismisura fra essere e linguaggio. L’opera dello scrittore francese si fonda su questi paradossi dell’enunciazione.
Invece di rinnegare le mistificazioni e i falsi presupposti del linguaggio o pronunciare l’ennesimo lamento sulla loro inadeguatezza, Perec ha preso pazientemente la parola, ha preso le parole una per una, le ha rigirate da tutti i lati esponendo alla luce proprio quelli che sembravano meno adatti a riflettere in’immagine in cui riconoscersi. La sua scrittura ha adottato tutte le disfunzioni del linguaggio, ha moltiplicato di proposito le insufficienze della comunicazione per mimarle e ripeterle fino alla glossolalia, per applicarle sistematicamente fino ad esaurirne l’insignificanza. Perec ha assecondato la sua lingua, ne ha praticato alla lettera le possibilità e i divieti, ha obbedito implacabilmente alle sue leggi per ottenere il massimo che essa concede di esprimere: la sua scrittura ci ha indicato che tutto ciò che possiamo e dobbiamo dire di noi stessi non è altro che un particolare, personalissima, capziosa, ingegnosa forma di reticenza.”

Tiziano Scarpa, da Cos’è questo fracasso?

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